Clinical Trial Update

Il contropulsatore aortico non riduce le dimensioni dell’infarto nei pazienti con STEMI senza shock cardiogeno: il trial CRISP AMI


L'utilizzo del contropulsatore aortico prima della PCI (procedura coronarica interventistica) nei pazienti con STEMI (ST-segment elevation myocardial infarction, infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST) non riduce le dimensioni dell'area necrotica, in base a misurazioni eseguite con risonanza magnetica cardiaca (RMC): queste sono le conclusioni dello studio CRISP AMI (Counterpulsation Reduces Infarct Size Acute Myocardial Infarction) [CRISP AMI; NCT00833612], presentato al Congresso ESC 2011 da Manesh Patel, MD (Duke Clinical Research Institute, Università di Duke, Durham, Carolina del Nord, USA) [MR Patel et al. JAMA 2011]. 

Lo studio CRISP AMI è un trial clinico multicentrico, controllato e randomizzato, in aperto, che ha arruolato 337 pazienti con uno STEMI della parete anteriore, giunti all'osservazione medica entro 6 ore dall'inizio del dolore toracico e senza shock cardiogeno. I pazienti sono stati randomizzati a contropulsatore aortico, posto in sede prima della PCI e lasciato in funzione per almeno 12 ore, vs. PCI senza contropulsatore (in questo caso il contropulsatore veniva utilizzato solo se necessario per la comparsa successiva di instabilità emodinamica).

Lo scopo dello studio era di stabilire se l'utilizzo di routine del contropulsatore aortico prima della riperfusione nei pazienti con STEMI senza shock cardiogeno riducesse le dimensioni dell'area necrotica. L'endpoint primario era costituito dall'estensione dell'infarto, espressa come percentuale della massa del ventricolo sinistro (VS) e misurata a una RMC eseguita fra 3 e 5 giorni dopo la PCI. Endpoint secondari comprendevano la morte a 6 mesi per tutte le cause e i tassi a 30 giorni di complicanze vascolari, emorragie maggiori e trasfusioni. 

In totale, 337 pazienti sono stati randomizzati a contropulsatore aortico prima della PCI (n = 161) oppure a PCI con contropulsatore di salvataggio, se necessario (n = 176). La PCI è stata eseguita con successo nel 94% dei pazienti e l'arteria discendente anteriore costituiva il vaso trattato nel 97,6% dei casi. Il tasso di crossover (pazienti nel gruppo con PCI standard per i quali era necessario l'utilizzo del contro pulsatore per instabilità emodinamica) è risultato pari all'8,5% (n = 9).

Non sono emerse differenze statisticamente significative per quanto riguarda l'estensione media dell'area infartuata fra i pazienti del gruppo assegnato al contropulsatore aortico e i pazienti sottoposti alla PCI standard (42,1% [IC al 95% da 38,7% a 45,6%] vs. 37,5% [IC al 95% da 34,3% a 40,8%], rispettivamente; p = 0,06). Questo trend si confermava anche nel sottogruppo dei pazienti con malattia dell'arteria discendente anteriore prossimale e in quello dei soggetti con flusso TIMI di 0 o 1 (46,7% [IC al 95% da 42,8% a 50,6%] vs. 42,3% [IC al 95% da 38,6% a 45,9%], rispettivamente; p = 0,11).

A 30 giorni, non sono state documentate differenza significative fra i due gruppi di trattamento per quanto riguarda le complicanze vascolari maggiori (gruppo con contropulsatore vs gruppo con PCI standard: 4,3% [IC al 95% da 1,8% a 8,8%] vs. 1,1% [IC al 95% da 0,1% a 4,0%]; p = 0,09) e le emorragie maggiori o le trasfusioni (gruppo con contropulsatore vs. gruppo con PCI standard: 3,1% [IC al 95% da 1,0% a 7,1%] vs. 1,7% [IC al 95% da 0,4% a 4,9%]; p = 0,49). A 6 mesi, non c'erano differenze riguardo la mortalità (p = 0,12) e riguardo l'endpoint composito costituito da morte, IM o scompenso cardiaco congestizio (p = 0,15).

In definitiva, questo trial ha documentato l'assenza di benefici per l'utilizzo di routine del contropulsatore aortico prima della PCI primaria nei pazienti con STEMI anteriore, sia per quanto riguarda le dimensioni dell'area necrotica, sia per quanto concerne endpoint clinici a distanza. Gli autori hanno concluso che l'utilizzo di routine del contropulsatore aortico nei pazienti con STEMI della parete anteriore senza shock cardiogeno non comporta una riduzione delle dimensioni dell'area cicatriziale, né un miglioramento della prognosi clinica dei pazienti a 6 mesi. 

 

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